Prove di ordinario razzismo

Scena: sala comunale;

protagonisti: un immigrato, un assessore, alcuni testimoni;

l’immigrato dichiara all’assessore: "io chiudo il mio phone-center
perchè ha una dimensione inferiore ai 10 metri quadri, a patto che
facciate chiudere tutte le attività anche degli italiani che si svolgono
in uno spazio inferiore ai 10 metri quadri; posso indicarle una
tabaccheria in cui bisogna entrare in non più di una persona per volta,
ad esempio …".

Siamo nella solita città dominata da leghisti razzisti che più razzisti
non si può?

No, siamo nel centro dell’Emilia Rossa, siamo a Modena con una giunta di
sin… è sbagliato completare la parola, perchè se no si svilisce il
significato storico di quel termine.

Diciamo che siamo a Modena con una giunta reazionaria, molto sensibile
alle sollecitazioni dei comitati popolari nei quali da tempo la destra
ripone le sue speranze.

Sono comitati come quelli che hanno suggerito ed appoggiato a Sassuolo
lo sgombero del palazzo verde, forse uno degli atti di discriminazione
razziale più gravi gestiti da una amministrazione negli ultimi anni. E
mentre Sassuolo sta per fare il bis con un nuovo imminente sgombero in
gennaio, Modena si limita a gettare sul lastrico ed a portare alla
rovina tra le 30 e le 40 famiglie di immigrati che gestiscono phone
center in città.

Possibile? Avranno mica fatto un decreto che impone agli stranieri di
chiudere i loro negozi, come fecero i fascisti in questa città contro i
negozi gestiti da religiosi ebraici negli anni ’40?

No, le giunte reazionarie che provengono dalle evoluzioni successive
dello sgretolamente del PCI, attuano tecniche più sofisticate:
costruiscono regolamenti comunali che pongono la maggior parte di questi
esercizi nella impossibilità di continuare ad esistere.

Quale è la colpa di questi gestori, quella di essere dei mercanti esosi?

No, sono persone che hanno aperto piccoli negozi posti in centro
storico, in cui si vendono o si vendevano generi alimentari a buon
mercato e ci si può collegare ad internet o telefonare a prezzi bassi,
svolgendo un servizio per quegli emigrati che necessitano di comunicare
con famiglie lontane o funzionale alla vita di quegli anziani che,
avendo difficoltà a recarsi nei centri commerciali lontani dal centro,
ritrovavano nuovamente sotto casa alcuni generi di prima necessità.

Il fatto è che talvolta all’esterno di questi luoghi c’è chi si ferma a
parlare, qualcuno compra altrove bottiglie di birra e si trova qui
assieme a connazionali per scambiare due chiacchiere, per discutere,
qualche volta litigare; questi fatti determinano lamentele nel vicinato,
le stesse che accompagnano i luoghi di ritrovo alla moda che sono stati
riaperti nel centro cittadino. La differenza è che per questi ultimi il
comune è intervenuto attraverso pratiche di mediazione con operatori che
hanno contribuito a far incontrare le esigenze di chi vive il centro
occasionalmente, con coloro che lo abitano. Nel caso dei phone center,
invece, hanno deciso di costruire una leggina locale ad-hoc che ne
faccia chiudere la maggior parte.

Peccato che secondo alcuni immigrati qui da oltre vent’anni, la chiusura
dell’attività coincide con la chiusura di una possibilità di vita
conquistata pazientemente con il proprio lavoro. Significa non sapere
come sfamare i propri figli, come dare un futuro alle proprie mogli ed
ai propri mariti.

La progressione di regolamenti prima statali, poi regionali, ha prodotto
il sedimentarsi successivo di lavori di ristrutturazione interna di
questi luoghi, che ha prodotto l’indebitamento dei gestori; quest’ultimo
intervento di carattere comunale è una vera e propria stroncatura
dell’attività.

E’ stato fatto un ricorso al Tar e per questo i gestori hanno chiesto
che il Comune di Modena attenda l’esito del ricorso stesso, in virtù del
fatto che a Milano il comune aveva fatto un regolamento che poi il Tar
ha bocciato considerando illegittimo il regolamento stesso.

Solo che gli amministratori modenesi si sono espressi dicendo che loro
mica facevano le cose come i milanesi! Qui a Modena sono molto più fini
e quello che non passa Milano, a Modena si può stare certi che passerà!

Per questo il Collettivo Autonomo Modenese in quanto componente del
C.La.R.Mo. (Coordinamento Lavoratori Resistenti Modenesi) ha partecipato
alla contestazione che ieri ha suscitato scalpore in consiglio comunale,
in cui il nostro democratico consesso ha deciso che questi immigrati non
potevano neppure esporre dei cartelli perchè "non inerenti" alla
discussione del consiglio. La cosa pazzesca è che ricominciando a
leggere il suo intervento il sindaco ha citato i fondi spesi dal comune
per l’integrazione dei cittadini stranieri e nessuno dei consiglieri ha
notato minimamente la stonatura, l’insulsa e crudele ridicolaggine del
succedersi degli eventi.

La lotta ha sortito una disponibilità da parte di alcuni consiglieri nel
sostenere la questione attraverso una interpellanza che verrà discussa a
fine gennaio, mentre il regolamento diverrà operativo il primo gennaio,
ed anche un incontro con l’assessore il cui tenore è stato già
parzialmente chiarito all’inizio di questo intervento.

Solo da aggiungere che l’assessore alla domanda dell’immigrato, più che
rispondere si guardava attorno allibito dicendo con un suo
collaboratore: "… non credevo che fossero così tanti!". Diciamo che la
competenza nella comprensione dei fenomeni non pare molto grande, così
come l’attenzione, oltre che per i diretti interessati, anche per quei
settori delle classi subalterne che trovano in questi luoghi alcune
risposte ai loro bisogni.

Ma una qualunque visione di classe è passata di moda da molto tempo in
questa città … certo non per il CAM e alcuni altri!

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